Sanzione Disciplinare e Principio di Proporzionalità – Guida
Ai sensi dell’art. 2106 cod. civ., “l’inosservanza delle disposizioni contenute” negli artt. 2104 e 2105 cod. civ. “può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione”. La sanzione disciplinare, che può essere di vario tipo come spiegato su Guidelavoro.net, dunque, va graduata in base alla gravità dei fatti contestati e non è possibile applicare automaticamente una sanzione disciplinare, conservativa o espulsiva, prescindendo dalla valutazione della sua proporzionalità rispetto all’infrazione commessa dal lavoratore.
La regola inderogabile della proporzionalità tra infrazione e sanzione deve essere rispettata, a pena di nullità della sanzione, sia dal datore di lavoro che dall’autonomia collettiva.
L’applicazione del criterio generale della gradualità della sanzione rispetto alla gravità dell’infrazione, va attuato, oltre che dal datore di lavoro nell’esercizio del potere disciplinare, dal giudice, in sede di controllo della legittimità e della congruità della sanzione applicata.
Il giudizio che ne consegue si sostanzia così nella verifica della proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato o, in altri termini, nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione. Ai fini di tale valutazione, il giudice deve tener conto sia delle circostanze oggettive che delle modalità soggettive della condotta del lavoratore, dal momento che entrambe incidono sulla gravità della trasgressione.
Inoltre, nel valutare la proporzionalità della sanzione bisogna considerare la tipologia di illeciti e sanzioni prevista dalla contrattazione collettiva. Così, per esempio, la condotta del lavoratore contemplata dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare, a cui corrisponda una sanzione di tipo conservativo, non può essere oggetto, da parte del giudice, di un’autonoma e più grave valutazione implicante l’adozione di una sanzione di carattere espulsivo.
Nell’ipotesi poi di una pluralità di fatti contestati, la valutazione della porprozionalità della sanzione va attuata complessivamente.
La conversione della sanzione disciplinare non proporzionata.
In mancanza di proporzionalità fra addebito e sanzione, quest’ultima è illegittima.
E’ controverso se se sia riconosciuto al giudice un potere di conversione della sanzione disciplinare invalida inflitta al lavoratore.
Secondo la dottrina, nell’ipotesi in cui sia “eccessivo il tipo di sanzione irrogata” (ad es. sospensione in luogo della multa ovvero multa in luogo del rimprovero), “il giudice deve limitarsi a dichiarare integralmente nulla la sanzione, non potendo applicare il principio della conversione del negozio nullo, neppure su domanda del datore di lavoro, poiché l’atto non contiene il necessario requisito di sostanza”.
Anche la Cassazione ha rilevato che il potere di infliggere sanzioni disciplinari e di proporzionare la gravità dell’illecito accertato, rientrando nel poteri organizzazione dell’impresa quale esercizio della libertà di iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost., è riservato unicamente al datore di lavoro. Pertanto, tale potere non può essere esercitato dal giudice neanche con riferimento alla riduzione della gravità della sanzione. Fanno eccezione i casi in cui: l’imprenditore abbia superato il massimo edittale e la riduzione consista, perciò, solo in una riconduzione a tale limite,; ovvero lo stesso datore di lavoro, convenuto in giudizio per l’annullamento della sanzione, chieda, nell’atto di costituzione, la riduzione della sanzione per l’ipotesi in cui il giudice, in accoglimento della domanda del lavoratore, ritenga eccessiva la sanzione già inflitta.
Ove non ricorrano tali presupposti, il giudice non può graduare la sanzione inflitta in relazione alla gravità del fatto, ma deve limitarsi ad accertarne la legittimità, rientrando tale graduazione nella discrezionalità assegnata dall’art. 2106 cod. civ. al datore di lavoro.